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    Perché usare un Test di validità della prestazione?

    Che cos’è un test di validità?

    Esistono test concepiti per valutare la validità dei punteggi di un test psicometrico, noti come test di validità delle prestazioni (Performance Validity Test, PVT).

    Non è un gioco di parole, dacché si tratta di test che, per esempio, permettono di rispondere alla domanda:

    I punteggi del test X rappresentano adeguatamente le capacità del soggetto? Oppure le sottostimano o le sovrastimano?

    Indipendentemente dal motivo della valutazione, sia essa cognitiva o neuropsicologica, oppure richiesta dal giudice di un tribunale, è un grande vantaggio poter affermare, con chiare evidenze, che i punteggi prodotti da un test sono validi. Un test di validità è specificamente concepito per fornire questo tipo di evidenze, cioè per aiutare il professionista a individuare i casi in cui i punteggi ottenuti a un test non corrispondono all’effettivo livello di competenza del soggetto. Potremmo vederli come una sorta di “scala lie” da utilizzare in abbinamento ai test cognitivi o sintomatologici per confermarne la validità.

    In questo contesto, il termine “validità” non ha lo stesso significato che assume in ambito psicometrico (dove la validità di un test è prova che quel test misuri effettivamente ciò che intende misurare): un test di validità indica se un determinato punteggio è una buona stima delle capacità dell’individuo.

    Test di validità: le tipologie

    Tuttavia, i test di validità non sono tutti uguali, e possono essere suddivisi in tre gruppi:

    1. Alcuni sono concepiti per individuare i punteggi “non credibili” perché paiono troppo bassi. In altre parole, identificano i punteggi indicativi di una esagerazione dei sintomi tale da non poter essere attribuita a una autentica compromissione psicologica, cognitiva, medica o neurologica. Si pensi a punteggi inverosimilmente bassi ad alcuni test cognitivi standardizzati o a un questionario.
    2. Altri test di validità individuano i punteggi “non credibili” in virtù del fatto che appaiono troppo alti. Si tratta, di fatto, di una peculiarità di coloro che presentano in maniera esageratamente positiva o negano problemi reali e comuni. Questo tipo di controllo della validità è solitamente implementato nei questionari self-report, di cui le “scale lie” sono parte integrante (in questo caso, si parla di PVT integrato).
    3. Alcuni test di validità, infine, individuano i punteggi indicativi dei pattern di risposta casuali, in cui il paziente non si attiene alle istruzioni per l’esecuzione del test, non ne comprende gli item o risponde in maniera casuale. Questi test sono definiti test di validità (PVT) autonomi e sono stati concepiti anche per rilevare la probabilità che il soggetto abbia deliberatamente risposto in modo errato, utilizzando un paradigma che, agli occhi del paziente, sembra atto a misurare la capacità di memorizzazione di informazioni presentate in forma visiva e verbale.

    Un test di validità indica se un determinato punteggio è una buona stima delle capacità dell’individuo.

    Perché un test di validità è utile?

    I test di validità si possono definire tali perché discriminano coloro che ottengono un punteggio credibile (e quindi valido) da coloro che simulano un buon adattamento o, viceversa, esagerano i sintomi.

    I test di validità forniscono una prova oggettiva circa l’attendibilità dei punteggi ottenuti in altri test di valutazione.

    Questa garanzia, oltre a essere di estremo valore etico in relazione all’accuratezza delle diagnosi, permette anche al clinico di integrare, con un buon livello di fiducia, i risultati dei test con le informazioni derivanti da altre fonti (per esempio, l’indagine anamnestica o i colloqui), al fine di giungere a una descrizione coerente e accurata del caso e del funzionamento del paziente.

    Quando utilizzare un test di validità?

    La risposta a queste domande è semplice: con tutte le popolazioni e per ogni valutazione.

    Una ricerca recente che ha coinvolto neuropsicologi nordamericani ha evidenziato che 9 clinici su 10 utilizzano i PVT in ogni valutazione che riguardi individui in età pediatrica, implementando in media un PVT autonomo e un PVT integrato per ogni valutazione (Brooks, Ploetz e Kirkwood, 2016). Questo risultato è generalizzabile? Probabilmente no. Infatti, per una serie di credenze, molti clinici non utilizzano i PVT nel corso delle valutazioni cognitive. Eccone alcune:

    • credono che siano applicabili solo per valutazioni in ambito forense;
    • li ritengono necessari solo quando il clinico sospetti già uno scarso coinvolgimento o una scarsa collaborazione nella valutazione;
    • credono che, qualora il PVT segnali una prestazione non valida, questo equivalga a una diagnosi di simulazione di malattia;
    • pensano che non siano utilizzabili in modo attendibile con i bambini.

    La realtà è che i PVT sono necessari nelle valutazioni perché non tutti i soggetti forniscono risposte valide. Ancora, nonostante la credenza che i bambini, gli adolescenti e i giovani adulti, sottoposti a valutazione, si impegnino tanto quanto i professionisti che li testano, la percentuale di giovani che forniscono risposte ai test non valide – compresi l’ingigantimento o la simulazione dei sintomi – può arrivare al 50% (Kirkwood, 2015).

    Un’altra delle possibili cause di invalidità dei risultati prodotti da un test risiede in quella variabile che viene chiamata “engagement”: a volte, bambini e adolescenti non si impegnano a fondo in un processo di valutazione per scarsa maturità, per la presenza di una disabilità, per uno scarso livello di attenzione o per altri fattori. In questi casi, i risultati dei test di validità evidenziano tipicamente che il punteggio non è attendibile.

    Questa informazione, ovvero la possibilità di individuare in modo oggettivo tali fenomeni nel corso del processo di valutazione, assume grande rilevanza, perché può indirizzare la scelta dei test da somministrare considerando esigenze valutative, opportunità testistiche e tempi (dunque costi) delle somministrazioni.

    La scelta dei test da somministrare deve considerare esigenze valutative, opportunità testistiche e tempi delle somministrazioni.

    Il Memory Validity Profile: un test di validità veloce e facile da somministrare

    Il Memory Validity Profile (MVP) è uno strumento veloce, facile da somministrare e concepito per determinare se un soggetto stia fornendo un punteggio valido in un test. Può essere utilizzato da professionisti che effettuano valutazioni di tipo cognitivo, neuropsicologico o scolastico in bambini, adolescenti e giovani adulti. In altri termini, si tratta di uno strumento ideale da associare a qualsiasi valutazione testistica di soggetti in età evolutiva.

    Offre molti vantaggi:

    • è stato specificamente progettato per essere utilizzato con bambini, adolescenti e giovani adulti, perciò, non si tratta del mero adattamento all’età evolutiva di un test destinato alla popolazione adulta;
    • ha un ampio campione normativo (oltre 1200 bambini, adolescenti e giovani adulti nella fascia di età compresa tra 5 e 21 anni, nonché 198 giovani con diagnosi cliniche);
    • è stato realizzato in ottemperanza alle buone pratiche relative alla costruzione dei test psicologici, per come sono state definite dall’ITC (International Test Commission);
    • è molto veloce, dacché si somministra in non più di 7 minuti;
    • contiene item sia visivi sia verbali, che consentono la somministrazione anche a bambini con disabilità visiva (subtest Verbale) o con disturbi del linguaggio/dell’udito (subtest Visivo);
    • è il primo test di validità delle prestazioni con punteggi soglia in funzione dell’età, un accorgimento che riduce i falsi positivi nei bambini più piccoli;
    • i punteggi soglia del MVP hanno mostrato il 100% di sensibilità e il 100% di specificità per quanto riguarda il riconoscimento della simulazione di problemi di memoria.

    MVP: la struttura del test

    Il MVP è composto da due subtest che presentano informazioni visive e verbali e ciascuno è suddiviso, a sua volta, in due gruppi di item. Per quanto riguarda la somministrazione, si ha a disposizione un libro degli stimoli e un protocollo di notazione. Il protocollo di notazione contiene le istruzioni per la somministrazione di ciascun subtest e per la registrazione delle risposte; mentre il libro degli stimoli contiene gli item del subtest Visivo.

    Subtest Visivo

    Il subtest Visivo è costituito da due gruppi di item. Nel primo gruppo viene presentata, per pochi secondi, una sola immagine sfocata (che non può essere mostrata una seconda volta).

    Dopo aver mostrato una pagina vuota per alcuni secondi, vengono presentate all’esaminato tre scelte sfocate: il target e due distrattori. Il soggetto deve indicare l’oggetto target che era stato mostrato precedentemente. L’esaminatore non deve individuare gli stimoli e i target, né deve intervenire qualora l’esaminato li ripeta ad alta voce durante l’intervallo di tempo. Gli individui con disabilità motorie possono fornire una risposta verbale.

    Nel secondo gruppo di item, viene presentata, per pochi secondi, una sola immagine estremamente distorta (anche in questo caso, non potrà essere mostrata una seconda volta). Dopo aver mostrato una pagina vuota per alcuni secondi, vengono presentate all’esaminato tre scelte estremamente distorte (il target e due distrattori). Il soggetto deve indicare l’oggetto target che era stato mostrato precedentemente.

    Subtest Verbale

    Il subtest Verbale prevede due gruppi di item. Nel primo gruppo, all’esaminato viene letto un solo numero e gli viene chiesto di ricordarlo. Dopo una breve pausa, al soggetto vengono letti tre numeri (il target e due distrattori) e gli viene chiesto di individuare il numero che gli è stato presentato precedentemente.

    Nel secondo gruppo di item, all’esaminato viene letta una combinazione di due lettere (per esempio, “g-a”) e gli viene chiesto di ricordarla. Le lettere non possono essere ripetute. Dopo una pausa di 4 secondi, al soggetto vengono lette tre combinazioni di due lettere (il target e due distrattori) e gli viene chiesto di individuare la combinazione di lettere che gli è stata presentata precedentemente.

    MVP: come interpretare i risultati

    L’interpretazione delle prestazioni al MVP si basa sul punteggio totale. I punteggi Visivo e Verbale vengono forniti come seconda opzione, qualora un bambino non possa svolgere tutto il test. Per esempio, il punteggio del subtest Verbale può essere preso in considerazione per i bambini e gli adolescenti con disabilità visive, mentre il punteggio del subtest Visivo può essere preso in considerazione per i bambini e gli adolescenti con un grave deficit del linguaggio, per coloro che sono affetti da un disturbo dello spettro dell’autismo o che manifestano una disabilità intellettiva. L’utilizzo del punteggio Totale per i soggetti con queste diagnosi cliniche potrebbe determinare un valore falso positivo.

    Quando si ottengono risultati inferiori alla soglia stabilita nei PVT – in modo particolare quando le prestazioni risultano al di sotto dell’intervallo di risposta casuale – significa che si è in presenza di una elevata probabilità di simulazione, oppure di ingigantimento dei sintomi.

    Nei bambini ciò si potrebbe verificare per svariate ragioni, ma la definizione delle motivazioni che stanno alla base di prestazioni “non credibili” implica un’analisi che va ben oltre gli obiettivi dei PVT. In altri termini, la somministrazione di un test di validità ci consente di stabilire se determinati punteggi sono validi oppure no. In caso negativo non abbiamo nessuna informazione sul perché non lo siano.


    Spesso per descrivere i PVT si parla di “test di impegno” (effort test) con l’intento di indicare l’eventualità che un soggetto sia coinvolto, o meno, nel processo di valutazione e fornisca dati validi, ma l’impiego di tale terminologia non risulta corretto. Per esempio, un soggetto che stia tentando di ingigantire un deficit potrebbe impegnarsi molto per raggiungere l’obiettivo; di contro, un individuo potrebbe non impegnarsi affatto, pur senza voler intenzionalmente produrre una prestazione scadente. Le prestazioni relative a un test vengono rappresentate meglio come una combinazione di più fattori: l’aderenza al test (cioè il fatto di attenersi alle istruzioni), l’impegno (per o contro l’aderenza al test), il fatto che la prestazione sia casuale o intenzionale.


    Bibliografia:

    • Sherman E. M. S., Brooks B. L. (2015), MVP – Memory Validity Profile, trad. it. Giunti Psychometrics, Firenze 2018.