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    La psicoterapia e i diversi volti della personalità

    Ippocrate di Kos (460-377 a.C. circa) fu il primo nella storia a proporre una classificazione della personalità definendo quattro tipi divenuti “classici”: il collerico, il melanconico, il flemmatico e il sanguigno. Dopo quel primo tentativo, ne furono proposti molti altri, tutti fondati sull’idea che la personalità rimanesse immutabile (Roberts, Caspi, 2001). Oggi sappiamo che ci sono diverse componenti da prendere in considerazione nel definire la personalità ed è perciò importante comprendere l’interazione tra fattori costituzionali, educativi e ambientali. Inoltre, gli studiosi devono anche considerare i modelli teorici ai quali fanno riferimento, perché attivano una percezione selettiva rispetto ai fenomeni osservati. Quindi, se il mio orientamento teorico è psicodinamico, cognitivo, comportamentale oppure fenomenologico, avrò una specifica lente che mi farà osservare aspetti diversi dell’esperienza umana.

    I diversi volti della personalità

    In base alla teoria di riferimento, il concetto di personalità assumerà valenze e significati differenti in virtù di modelli, metodi, analisi e obiettivi diversi, a volte molto discordanti tra loro. Per questo motivo, anche in Italia, si è diffusa una visione psicologica integrata dell’essere umano che permette di considerare le persone nella loro pienezza anche dal punto di vista psicoterapeutico. D’altra parte, è importante riconoscere che il nostro approccio alla realtà è inevitabilmente influenzato dalla base teorica di riferimento e che ciò influenzerà, di conseguenza, la nostra valutazione rispetto alla devianza dalla norma e, quindi, il nostro intervento clinico o psicoterapeutico.

    Non è questa la sede per proporre un’analisi storiografica dell’evoluzione di questo concetto, ma oggigiorno sappiamo che la personalità evolve dinamicamente nell’arco della vita di una persona e gli esseri umani affrontano continuamente eventi che li cambiano.

    Il nostro approccio alla realtà è influenzato dalla base teorica di riferimento e influenza anche l’intervento clinico.

    Il disturbo di personalità

    Si parla di disturbo della personalità quando i tratti della personalità sono troppo rigidi, ripetitivi, disturbanti per il suo funzionamento complessivo, riprodotti in ogni occasione e in modo stereotipato, senza il normale adattamento necessario alla vita sociale.

    Nella formazione di un disturbo di personalità possono intervenire diversi fattori, spesso in combinazione tra loro:

    • elementi biologici innati,
    • ambiente sociale e culturale di appartenenza,
    • dinamiche familiari complesse,
    • educazione rigida,
    • accettabilità sociale del proprio temperamento,
    • attaccamento insicuro,
    • ridotta resilienza.

    Diagnosticare un disturbo di personalità, aiuta a pianificare un trattamento psicoterapeutico adeguato.

    Il funzionamento della personalità secondo il DSM-5

    Di grande aiuto può rivelarsi anche la valutazione del funzionamento della personalità per come è riportato nel Modello Alternativo introdotto nella Sezione III del DSM-5.

    L’idea di considerare una Scala del livello di funzionamento della personalità (Level of Personality Functioning Scale, LPFS), che contempli il funzionamento del Sé (identità e autodirezionalità) e il funzionamento interpersonale (empatia e intimità), potrebbe favorire la possibilità di condividere le modalità di osservazione di un fenomeno, senza i limiti della mera diagnosi categoriale.

    Questi elementi interni (funzionamento del Sé) ed esterni (funzionamento interpersonale) si fondano sull’idea che esista una sorta di integrazione della personalità che riguarda aspetti biologici, culturali e familiari.

    La Scala del livello di funzionamento ci consente di collocare la personalità lungo un continuum, dove si stabiliscono collegamenti tra normalità e patologia, tra un alto funzionamento e un’estrema compromissione.

    La personalità dello Psicoterapeuta

    Non solo i clienti/pazienti evolvono, il Sé è in un continuo mutamento (Giusti, 2002), perciò tale fenomeno riguarda anche gli psicoterapeuti. Sono dell’opinione, dopo 25 anni di esperienza nell’esercizio della professione, che la figura del terapeuta debba usufruire di una “supervisione permanente”, sia perché la pratica clinica espone a un rischio elevato di burn out, sia per tutelare il cliente/paziente, dacché alcuni vissuti personali dei professionisti potrebbero interferire con il percorso terapeutico che un individuo sta compiendo.

    Dimensional Personality Assessment (DPA)

    Il Dimensional Personality Assessment (DPA; Barbaranelli et al., 2019) è uno strumento in grado di valutare tutti gli aspetti fin qui descritti. In particolare:

    • permette alla persona di riconoscersi nella sua valutazione e comprendere i termini utilizzati, perché si tratta di espressioni semplici;
    • offre un contributo in sede di valutazione psicodiagnostica;
    • attiva un cambiamento terapeutico già al momento della restituzione, purché tale fase sia gestita da un professionista esperto;
    • consente il rinforzo dell’alleanza diagnostica e terapeutica, nel caso sia prevista una presa in carico, e soprattutto aiuta il professionista a effettuare la pianificazione di un trattamento personalizzato.

    L’aspetto più importante che si vuole sottolineare nel presente contributo è che, nel nostro essere in continuo divenire, i volti della nostra personalità – attraverso le dimensioni valutate dell’identità e dell’autodirezionalità nell’area del Sé e dell’empatia e dell’intimità nell’area interpersonale – si esprimono in diretto contatto con gli eventi dell’esperienza umana.

    Il DPA, inteso qui come uno strumento innovativo dedicato alla valutazione processuale della personalità, rappresenta una risorsa per lo psicoterapeuta, soprattutto per quel che riguarda il monitoraggio del percorso terapeutico (Rapanà, 2020).

    Monitorare l’andamento di una terapia e verificarne l’efficacia permette anche di adeguarsi agli assunti dell’evidence-based practice (Goodheart, Kazdin, Sternberg, 2006) e favorisce la ricerca scientifica che si pone per obiettivo lo studio della pratica clinica e della psicoterapia (Wampold, Imel, 2017).

    Il DPA è uno strumento innovativo dedicato alla valutazione processuale della personalità e rappresenta una risorsa per lo psicoterapeuta

    L’alleanza tra diagnosi e psicoterapia

    Proporre un percorso di psicoterapia significa “viaggiare” nella personalità di un individuo. Laddove si coglie un disturbo, si lavorerà per trasformare gli aspetti patologici in aspetti migliorativi, attraverso tecniche e strategie d’intervento psicologico per il cambiamento (Rapanà, 2014).

    In assenza del riscontro di disturbi della personalità, si potrà comunque proporre un percorso che conduce a una maggiore conoscenza di sé stessi. Un unico essere, che modifica continuamente ciò che è in figura e ciò che è sullo sfondo, avrà la possibilità di divenire consapevole e sarà davvero protagonista del proprio percorso d’individuazione.

    La ricerca ci mostra come i tratti di personalità abbiano un effetto significativo anche sullo stato di salute fisica e mentale, sul successo lavorativo, sulla vita relazionale e familiare (Ozer, Benet-Martínez, 2006). Mi piace, a tal riguardo, riportare il volto della personalità, raffigurato da Spalletta (2010, p. 64), che «esprime il suo valore adattivo quando impiega efficacemente le risorse insite nel temperamento, la funzionalità dei suoi tratti caratteristici e del tipico stile acquisito, frutto dell’interazione tra “madre natura e madre cultura”».

    Uno strumento di valutazione dimensionale della personalità come il Dimensional Personality Assessment, che si è dimostrato molto sensibile nel cogliere tutte le sfumature dei vari cambiamenti del soggetto durante un percorso, soprattutto per quanto riguarda l’attività di monitoraggio, favorirà il professionista nell’accompagnamento lungo il percorso terapeutico del proprio cliente/paziente, quasi come si trattasse di una danza. L’alleanza terapeutica permetterà così al volto della personalità di prendere ogni possibile forma, per poi favorirne l’integrazione in quella complessità che caratterizza ogni persona.


    Bibliografia:

    • Barbaranelli C., Pacifico M., Rapanà L., Rosa V., Giannini L., Giusti E. (2019), DPA – Dimensional Personality Assessment, Giunti Psychometrics, Firenze.
    • Giusti E. (2002), Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del sé, Sovera, Roma.
    • Goodheart C.D., Kazdin A. E., Sternberg R. J. (2006), Psicoterapia a prova di evidenza. Dove la pratica e la ricerca si incontrano, Sovera, Roma.
    • Ozer D. J., Benet-Martínez V. (2006), «Personality and the prediction of consequential outcomes», Annual Review of Psychology, 57, 401-421.
    • Rapanà L. (2014), «Tecniche di intervento psicologico per il cambiamento». In E. Giusti, A. Pagani (a cura di), Counselling psicologico. Assessment e interventi basati sulla ricerca scientifica, Sovera, Roma.
    • Rapanà L. (2020), «Il Test DPA “Dimensional Personality Assessment”», Integrazione nelle Psicoterapie, 10, 202-217.
    • Roberts B. W., Caspi A. (2001), «Personality development and the person-situation debate: It’s déjà vu all over again», Psychological Inquiry, 12, 104-109.
    • Spalletta E. (2010), Personalità sane e disturbate. Un’introduzione propedeutica alla cura delle normopatie del quotidiano, Sovera, Roma.
    • Wampold B. E., Imel Z. E. (2017), Il grande dibattito in psicoterapia. L’evidenza della ricerca scientifica avanzata applicata alla clinica, Sovera, Roma.