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    Test psicologici: uso corretto, questione di etica e opportunità

    Ogni giorno, decine di migliaia di persone, molte delle quali in una condizione di fragilità o di bisogno, vengono individuate, valutate e descritte attraverso l’utilizzo di test psicologici e di strumenti psicodiagnostici. Ausili fondamentali per il lavoro dello psicologo, sono al contempo strumenti operativi e veri e propri simboli professionali. Il loro utilizzo è ormai considerato scontato, se non indispensabile, in numerosi ambiti della professione e rientra, certamente, fra gli atti tipici e riservati maggiormente qualificanti e rappresentativi della categoria degli psicologi e degli operatori dell’area della salute mentale. Messi a punto per rilevare e classificare le differenze individuali, sono altresì un veicolo atto a garantire giustizia e uguaglianza sociale, perciò divengono, quando correttamente impiegati, indispensabili strumenti di tutela di molti diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto alla salute. Malgrado tale rilevanza, a livello sia sociale sia professionale, i test risultano spesso sottovalutati, mal utilizzati tecnicamente e deontologicamente o, addirittura, oggetto di pirateria e contraffazione.

    La cultura del testing psicodiagnostico e la categoria degli psicologi

    Anzitutto, occorre riconoscere che l’impiego dei test psicologici da parte degli psicologi italiani è caratterizzato, in genere, da scarsa familiarità e da una conoscenza piuttosto limitata, oltre che da poca attenzione nei riguardi delle opportunità/alternative offerte dalle novità del mercato e della ricerca.

    Questa evidenza, associata anche a una difficoltà intrinseca nella formazione universitaria in merito all’impiego di questi strumenti specifici, ha portato negli anni alla diffusione di numerose iniziative di formazione post lauream, dedicate alla testistica psicologica. Si è trattato soprattutto di iniziative pubbliche e private, di istituti universitari e non, realizzate in molti casi anche dagli stessi ordini professionali.

    Malgrado tali sforzi e il fatto che il numero degli psicologi, in crescita costante, abbia aumentato la concorrenza interna e incrementato la richiesta di specifiche competenze, utili, pratiche e spendibili (come quelle testistiche), nonostante il legislatore sempre più spesso richiami espressamente all’utilizzo di test validi e attendibili, la diffusione massiva di test psicometrici, insieme al loro impiego corretto, è ancora lontana dal realizzarsi pienamente.

    È auspicabile che, nel prossimo futuro, cresca ulteriormente l’investimento generale nelle competenze relative ai test psicologici e che ogni professionista aggiunga alla propria “cassetta degli attrezzi” un numero sempre più grande di risorse e di competenze, affinché si possa garantire maggior rigore e assicurare la qualità delle prestazioni erogate.

    Vincoli deontologici nell’uso dei test psicologici da parte degli psicologi

    L’impiego adeguato dei test psicologici si fonda innanzitutto sulla conoscenza, chiara e precisa, di quanto previsto dalle norme di acquisto. Per il 2021, Giunti Psychometrics, considerando gli Standards for educational and psychological testing, le International guidelines for test use della International Test Commission (ITC), i protocolli definiti da organizzazioni quali l’American Psychological Association (APA), la British Psychological Society (BPS) e la European Federation of Psychological Association (EFPA), ha realizzato un aggiornamento dei livelli di accesso ai test che definisce, con chiarezza e coerenza, anche rispetto ai nuovi profili professionali definiti dalla Legge 3/2018, gli standard di acquisto e utilizzo di questi strumenti.

    Esercitare un controllo sull’acquisto dei test comporta innanzitutto la necessità di impedire che vengano diffusi liberamente e che il pubblico acquisti familiarità con il loro contenuto, dacché tale eventualità potrebbe invalidarli, oppure renderli inefficaci. In secondo luogo, tale provvedimento è volto a prevenire un impiego illecito, ovvero, attuato senza le dovute competenze, che potrebbe rivelarsi dannoso per tutte le persone coinvolte.

    Analogamente, le norme etiche che regolano l’esercizio della professione enfatizzano non solo l’importanza dell’impiego appropriato di tali strumenti, ma anche le competenze dei somministratori e la tutela degli utenti-clienti, già a partire dalla Dichiarazione universale dei principi etici per gli psicologi (IUPsyS, 2008). Dopo la pubblicazione di tale documento anche tutti i codici, i meta-codici etici e le relative declinazioni deontologiche nazionali hanno espresso raccomandazioni specifiche, in merito all’utilizzo dei test psicologici e degli strumenti psicodiagnistici. Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, i riferimenti ultimi sono il Meta-code of ethics (EFPA, 2005) e, ovviamente, il Codice deontologico degli psicologi italiani (CNOP, 1998).

    Esercitare un controllo sull’acquisto dei test psicologici impedisce che il pubblico acquisisca familiarità con il loro contenuto.

    Il Meta-code of ethics è un insieme di principi normativi condivisi da tutte le comunità degli psicologi a livello europeo. Pone esplicitamente in evidenza alcune cautele e vincoli rilevanti, come quelli di:

    • praticare entro i limiti di una competenza derivanti dalla formazione, dal training e dall’esperienza;
    • essere consapevoli dei limiti delle procedure per compiti particolari e dei limiti delle conclusioni che possono essere tratte a seconda dei differenti ambiti di applicazione;
    • praticare entro i confini della comunità professionale e in conformità della conoscenza, delle teorie e metodi e dello sviluppo critico della stessa;
    • bilanciare il proprio intervento con cautela in particolare nell’utilizzo di nuovi metodi con la consapevolezza che nuove aree di pratica e nuovi metodi continueranno a nascere alla luce di uno sviluppo professionale continuo;
    • e ricorda l’importanza del «riconoscimento della necessità di accuratezza e dei limiti delle conclusioni e delle opinioni espresse in relazioni e dichiarazioni professionali.

    Il Codice deontologico degli psicologi italiani è perfettamente allineato con tali principi etici e ne rappresenta la declinazione prescrittiva. Sin dai primi articoli è forte il richiamo alla responsabilità sociale (art. 3), al rispetto dei diritti degli utenti (art. 4) e all’adeguatezza delle competenze e dei riferimenti scientifici (art. 5).

    L’art. 5, in particolare, indica chiaramente che «Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera. […] Riconosce i limiti della propria competenza e usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate».

    Le norme che regolano l’esercizio della professione dello psicologo enfatizzano l’importanza delle competenze dei somministratori.

    Si tratta di un articolo chiaro ed esplicito che non costituisce solo un invito all’aggiornamento professionale e all’accuratezza, ma rappresenta anche un chiaro richiamo alla responsabilità deontologica e giuridica associata all’uso scientifico, consapevole e competente degli strumenti e dei metodi.

    L’art. 7 indica, inoltre, che «nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata e attendibile». Anche in tal caso è chiaro e palese il richiamo all’importanza di impiegare sempre a strumenti validati e attendibili, appositamente strutturati e costruiti per un utilizzo professionale specifico.

    L’art. 25, infine, fa riferimento all’impiego corretto degli strumenti: «Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei soggetti».

    Come si può osservare, lungo tutto il Codice deontologico degli psicologi italiani sono presenti richiami palesi e che non presentano ambiguità rispetto a come, e con quali requisiti, sia necessario utilizzare sempre test e strumenti.

    Test psicologici: Copyright e contraffazione

    Una delle caratteristiche peculiari dei target psicologici risiede nel fatto che le tipologie di utenti e di bisogni che è necessario quantificare e misurare sono in costante crescita e sono estremamente mutevoli nel corso del tempo. Anche per tale motivo è opportuno considerare, in merito all’impiego corretto dei test psicologici, la questione relativa all’aggiornamento, alla validità e all’attendibilità degli strumenti di valutazione e alle relative operazioni di commercializzazione degli stessi.

    I punteggi conseguiti da un individuo acquistano senso solo se posti in rapporto con le norme statistiche del test, purché siano sempre aggiornate e adeguate in relazione al fenomeno a cui si riferiscono. Affinché la valutazione si riveli adeguata e attendibile, gli individui, sottoposti a test, devono esperire condizioni standard e l’intero processo deve essere costantemente parametrato rispetto al campione normativo di riferimento. Per tali motivi, i test psicologici sono oggetto di costosi, ma imprescindibili, processi di validazione e di costante aggiornamento. Sono tali processi a spiegare l’elevato prezzo di vendita.

    La diffusione incontrollata delle fotocopie dei test psicologici, spesso anche di versioni obsolete e superate, determina l’indebita diffusione dei contenuti e degli stimoli. Inoltre, se si alterano le condizioni standard di somministrazione, il test non può più essere considerato uno strumento obiettivo e standardizzato di misurazione, ma diviene il tramite di una grave ingiustizia valutativa e di un vero e proprio sopruso nei confronti degli utenti.

    Di nuovo, sono le International guidelines for test use della International Test Commission (ITC) a a raccomandare esplicitamente ai professionisti che usano tali strumenti di «assicurarsi che i materiali del test siano conservati in totale sicurezza» e di «rispettare la legislazione sul copyright e gli accordi esistenti relativi ai test, incluso ogni divieto di fotocopiatura o trasmissione di materiali in qualunque formato, compreso quello elettronico, a qualsivoglia persona qualificata o meno».

    Inoltre, presentare la fotocopia di un test anziché la versione originale potrebbe inficiarne la cosiddetta “face validity” associata alla veste grafica e alla reputation del test psicologico stesso. Se presentato per in forma di fotocopia, il test può essere percepito come qualcosa di poco serio, non scientifico, che non merita di essere considerato affidabile e, anzi, può suscitare diffidenza.

    In sintesi, utilizzare le fotocopie dei test è una pratica che, per aggirare i costi di acquisto, raggira l’utente finale della valutazione. La riproduzione illecita e incontrollata provoca un danno circolare che ricade sugli utenti. Infatti, il danno economico agli autori e agli editori compromette la possibilità di proseguire il lavoro di aggiornamento e validazione dei test, con ripercussioni sulla qualità delle prestazioni professionali. Non bisogna dimenticare, inoltre, che tale pratica costituisce una grave violazione dei diritti d’autore e del copyright, oltre che dei diritti fondamentali di chi si rivolge alle prestazioni professionali. Per tutte queste considerazioni, la lotta all’utilizzo abusivo deve essere considerata un compito comune e condiviso da tutti.

    Per concludere un’osservazione relativa alle nuove condizioni prodotte dalla pandemia di Covid-19. Stante l’importanza di riferirsi sempre alle indicazioni specifiche sull’utilizzo dei singoli strumenti nei contesti digitali e online, è opportuno ricordare che il fatto di offrire prestazioni per via telematica non implica alcuna deroga in merito alle norme esposte in precedenza. È il codice deontologico a farvi chiaramente riferimento proprio all’art. 1: «Le stesse regole si applicano anche nei casi in cui le prestazioni, o parti di esse, vengano effettuate a distanza, via Internet o con qualunque altro mezzo elettronico e/o telematico».